Mediare paure e conflitti per consolidare relazioni 

di Monica Zoccoli – Pedagogista Clinica

Le esperienze quotidiane di relazione tra la scuola e i genitori mettono in evidenza come, al di là delle regole e delle procedure formalizzate di partecipazione esistano, in molti casi, problemi e difficoltà che rendono difficile la collaborazione fra le due istituzioni

Paure, ansie, timori possono essere “spie” in grado di evidenziare l’esistenza di problemi che dobbiamo focalizzare ed affrontare, spesso queste difficoltà emergono in modo indiretto mascherandosi dietro fatti e comportamenti apparentemente oggettivi ma che sono, invece, enfatizzati dai significati soggettivi che, a livello inconsapevole, attribuiamo loro.

L’inconsapevolezza, in termini di non conoscenza, dei sentimenti che possono guidare le nostre azioni può indurre a reazioni non costruttive e deleterie per la definizione di  buone relazioni.

Comprendere la natura del conflitto, prendere coscienza delle emozioni che suscita, esplorarne le modalità di gestione consente di rivedere il proprio modo di relazionarsi all’altro in modo più accogliente. E’ importante tenere nella giusta considerazione non solo i nostri interessi, ma anche i desideri e i bisogni di chi vive la relazione, ciò consente di attenuare la problematicità di certe situazioni, spostando l’attenzione sulla necessità della collaborazione per giungere ad una soluzione condivisa dei problemi emersi.

Una volta rimossa la paura del pericolo, le persone possono iniziare a vedere che, gestito nella maniera giusta, il conflitto può essere costruttivo.

Per ridefinire i confini del disaccordo, in modo da considerarlo come un’opportunità di riflessione e di cambiamento è necessario “prendersi cura del conflitto” trasformandolo in fonte di confronto.

Quando sappiamo “stare nel conflitto”, questo viene accettato per quello che è, esplicitato, analizzato e affrontato in modo positivo. Il conflitto è connesso all’interazione umana, poiché ogni persona porta nella relazione modi di essere, opinioni, desideri e interessi differenti da quelli di altri: il problema, infatti, non è costituito dal conflitto in sè stesso, ma dal modo in cui viene considerato e dagli eventuali tentativi messi in atto per gestirlo e superarlo.

Spesso pensiamo che la conseguenza naturale di un conflitto sia lo “scontro” il quale, di solito, genera un deterioramento delle relazioni. In realtà questa conclusione non è mai così scontata, poiché la risoluzione di un conflitto può essere negativa o distruttiva, ma anche positiva e costruttiva. L’esito positivo di un conflitto è conseguente alla capacità di ripensare sé stessi, le proprie convinzioni e quelle degli altri, le modalità di porsi nei confronti degli altri in modo da permettere l’evoluzione e la trasformazione delle relazioni fra le parti, consentendo un maggior avvicinamento e rispetto reciproco.

Tutto questo implica un impegno intenzionale a riflettere sulle dinamiche che stanno sotto le relazioni e sulle paure e timori che in modo esplicito e/o implicito possono minarle; significa fermare l’attenzione sul concetto di “cura” e su come tale pratica possa intervenire per migliorare la costruzione delle nostre relazioni.

Concetti come comunità, condivisione, partecipazione e scambio devono diventare i pilastri su cui poggiare la relazione e diventare ponte di passaggio dalla “paura” alla “cura”.

“Prendersi cura” vuol dire sentirsi interpellati, coinvolti avvertire l’invito ad assumere in carico le situazioni che generano le nostre ansie educative e, in secondo luogo, avvertire la responsabilità che compete al ruolo che ci troviamo a svolgere e, infine cercare soluzioni costruttive e condivise.

In quest’ottica è possibile progettare interventi che in alcuni casi si definiscono a partire da un semplice ascolto empatico in grado di alleggerire eventuali problematiche che si sono create. All’insegnante occorrono non solo competenze didattiche e culturali ma anche competenze relazionali, funzionali non solo allo sviluppo di positive interazioni ma anche alla definizione di relazioni profonde ed efficaci. La capacità di assumere una prospettiva diversa dalla propria significa provare a comprendere le difficoltà dell’altro in un’ottica accogliente e priva di giudizio, in un tempo che deve lasciare la possibilità di ascolto e di espressione.

Occorre quindi un grande impegno da parte del corpo docente che si evidenzia nella necessità di definire relazioni fondate su un processo di conoscenza, comunicazione, informazione circolare in modo da determinare un processo di cambiamento che coinvolga tutti i partecipanti.

Il rischio più evidente se non si compiono questi sforzi è quello di creare ancora più distanze che avranno ripercussioni sul piano relazionale e culturale.

VALUTARE CHE FATICA!

Gennaio mese di bilanci per la scuola! Si avvicinano i tempi di scrutini e pagelle e ritorna il discorso sulla valutazione.

“Insegnare è bello ma non vorrei valutare mai”. Questa frase detta e sicuramente pensata da molti docenti rappresenta le insoddisfazioni che gli insegnanti riportano rispetto all’attività di valutare.

E’ un impegno di non poco conto in quanto il giudizio del quadrimestre “fissa” in un voto un meccanismo complesso dove influiscono molti fattori: la motivazione degli allievi, come vivono la scuola, le loro condizioni socio-culturali, gli apprendimenti conseguiti, la valutazione dei docenti.

Il problema è quello di riuscire a comunicare in un voto finale, anche positivo, la complessità e le caratteristiche originali del percorso individuale di ognuno.

Il ritorno al voto in decimi ha reso molto più delicato il problema della valutazione, ci si ferma al voto come giudizio, piuttosto che come indicatore di processo e il voto numerico dice poco sul processo ma dà semplicemente un giudizio definitivo.

Spesso le domande o i dubbi che gli insegnanti si pongono e pongono agli esperti sono:

    • Come possiamo essere sicuri che i nostri metodi di valutazione descrivano davvero l’apprendimento?

    • Come si può misurare e valutare anche gli aspetti affettivi, soggettivi che influenzano i comportamenti degli studenti, nella loro motivazione e impegno nello studio?

    • Come tener di conto delle differenze individuali attraverso una valutazione individualizzata che non muova le critiche verso i docenti di “fare delle preferenze” da parte di alunni e genitori?

Gli insegnanti chiedono quindi come trovare un equilibrio, in modo da non tradire le caratteristiche individuali dell’insegnante e dello studente, ma di permettere una valutazione attendibile, intersoggettiva condivisibile da studenti e insegnanti.

Una cosa è chiara: la valutazione scolastica ha una complessità di riferimenti e risvolti che richiedono un elevato livello di competenza dell’insegnante.

Valutare non è semplicemente attribuire un voto o un giudizio, la valutazione si accompagna a uno stile dell’insegnare, a un modo di immaginare il processo di apprendimento; la valutazione deve continuare ad avere una funzione educativa, conoscitiva, di regolazione del processo di apprendimento, è uno strumento “per” migliorare l’insegnamento, l’apprendimento, per verificare i punti deboli e i punti forti.

Valutare significa anche spronare, motivare, incoraggiare, mandare dei segnali gratificando i successi, non nascondendo i punti critici ma sempre con una positività nelle proposte.

Visto che il voto in pagella “comunica” un giudizio sintetico, bisogna prestare attenzione oltre all’accuratezza della valutazione anche alla comunicazione nei confronti dell’allievo e della famiglia.

I docenti devono aver ben chiaro cosa comunicare, quando e per quale fine. Occorre evitare che l’insegnante trasmetta ansia al genitore su una situazione di difficoltà del figlio.

Una volta evidenziate le difficoltà del bambino, il passo da fare è una prima valutazione soggettiva e non oggettiva, l’allievo va osservato e considerato rispetto a se stesso e non rispetto agli altri bambini della classe, se l’insegnante non ha una consapevolezza chiara della situazione, trasmette ai genitori solo ansia.

E’ sempre auspicabile prendere tempo e analizzare la situazione confrontandosi con i colleghi e con il dirigente scolastico, a volte un’altra figura nella relazione educativa già instaurata alleggerisce la tensione e introduce a una riflessione necessaria a separare il problema dall’ansia, occorre, inoltre, un atteggiamento rassicurante e positivo, comunicando la difficoltà dell’allievo non come un problema insormontabile ma come una difficoltà che può essere superata grazie all’impegno di tutti, dando un messaggio “positivo” senza lasciare la famiglia sola di fronte al problema.

I genitori, quindi, sono chiamati a contribuire e a partecipare a questo processo di apprendimento, sono invitati a fornire valutazioni che aiutano a considerare il progresso del bambino, valutando essi stessi il percorso e quello che il figlio sta facendo, concordando piani di intervento e di collaborazione, verificando i punti di forza e di debolezza e discutendo con gli insegnanti le disposizioni e le propensioni per superare le difficoltà.

A sua volta l’insegnante deve progettare obiettivi significativi, assistere e guidare lo studente per conseguire i risultati previsti, riflettere con lui sulle prestazioni realizzate per comprendere i risultati conseguiti e quelli ancora da raggiungere, lo aiuta ad andare avanti partendo da ciò che sa fare verso quello che può fare confrontandosi costantemente con le varie richieste che gli si presentano davanti ora e nel futuro.

Infine, lo studente deve essere attivo e responsabile rispetto al suo apprendimento, discutere con l’insegnante i suoi obiettivi, progettare attività che evidenziano i suoi punti di forza ma anche i suoi punti deboli.

L’apprendimento più che riproduzione di conoscenze memorizzate, è una sfida a cercare e utilizzare informazioni per risposte a domande e a interrogativi, per valutazioni e trasferimenti a nuovi contesti. Lo studente, quindi, si impegna ed è valutato su problematiche aperte dove deve trovare soluzioni ragionevoli.

Articolo uscito nelle newsletter dell’agenzia formativa: Società Italiana di Psicologia e Pedagogia (SIPP), Via S. Pertini Perignano (PI).

 

 L’IMPEGNO DELLA SCUOLA NEI CONFRONTI DELLA FAMIGLIA E VICEVERSA!

UN RAPPORTO COMPLESSO IN CONTINUA EVOLUZIONE

Scuola e famiglia insieme nel pieno rispetto dei diversi ruoli, dovrebbero condividere compiti educativi non solo sulla carta, per permettere la conquista graduale di tutte quelle competenze indispensabili per la crescita e la formazione dei bambini e dei ragazzi. La scuola deve offrire occasioni di apprendimento ma anche momenti di conoscenza dell’ambiente, di apertura e di coinvolgimento. A questo proposito sono indispensabili momenti di scambio, iniziative collettive, assemblee, colloqui. In questi incontri deve essere socializzata la progettazione didattica che è inserita in un contesto educativo generale che ha il compito di promuovere il dialogo, l’ascolto, la condivisione e la ricerca di soluzioni. La famiglia, d’altro canto, ha il compito di partecipare alla vita scolastica, condividendo gli obiettivi educativi di sua competenza, offrendo collaborazione, mantenendo il proprio ruolo, senza porsi in competizione, non dimenticando che il compito educativo dei genitori  è diverso da quello dei docenti e che il buon esito di un percorso di crescita sta proprio in un patto educativo di corresponsabilità, cioè un accordo, implicito ed esplicito, che si attua con pensieri condivisi, atteggiamenti e azioni chiare nei quali i bambini e i ragazzi possano trovare riferimenti sicuri. Per approfondimenti: AA.VV, (a cura di S. Matteoli, M. Parente) Il patto educativo, proposte e strumenti per costruire relazioni positive tra insegnanti e famiglie, Franco Angeli editore, 2014.

Articolo pubblicato nel mese di Ottobre 2017 sul Giornale mensile “L’ELBANO”

 

 

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